sabato 23 novembre 2013

"In Nome Del Popolo Italiano", regia di D. Risi. Ritratto accigliatosociopolitico dell'Italia anni '70.

Io rifiuto il piattume delle terminologie indifferenziate. Più parole, più idee. Sì! Io amo il linguaggio aderenziale e desemplicizzato.”

Quando sentii per la prima volta questa battuta, rimasi di stucco. Ero sul divano, fuori pioveva, accarezzavo la mia barba e fumavo il mio solito Toscanello al caffè, molto da pensatore in prima linea. Va beh, dettagli melensi a parte, il primo pensiero che mi venne in mente fu:
<<Ecco, questo non è un film, questo è IL FILM!>>.

Probabilmente la frase dice poco, ma è come viene argomentata dall’ingegnere Lorenzo Santenocito (un magistrale Gassman), e lo sguardo con il quale il buon giudice Mariano Bonifazi (un maestrevole Tognazzi) lo osserva che fa di essa una pennellata su un dipinto di Monet.
Attonito e spossato, continuai ad ascoltare quel dialogo fra i due protagonisti, due pietre miliari messe a confronto in questo capolavoro firmato
Dino Risi.







La pellicola nasce nel 1971 dalle penne stilografiche di Age e Scarpelli. La direzione invece fu affidata al grande Risi, appunto. Il film si svolge su due piani sociali. Da una parte c’è il magistrato integerrimo, ostinato e fermo a far rispettare le leggi, ovunque sia, spolverando tutti coloro che ostacolino la sua persona; dall’altra c’è il modello d'industriale benestante: bello, alla moda e soprattutto ricco. Gran qualunquista e menefreghista, fa un uso spropositato di avvocati imponenti e amicizie molto in alto. Un giorno però l’industriale si trova, senza una colpa vera e propria, frammisto nella morte di una prostituta di lusso, che era servita a rallegrare i suoi soci d’affari in molti progetti. Vorrebbe evadere da questo equivoco spiacevole, ma, di fronte a lui, e soprattutto contro di lui, appare il magistrato che, sospettando della sua colpevolezza, lo tampina sino all’inverosimile; fino al momento in cui, pur essendoci le prove della sua assoluta innocenza, le ignora per poterlo condannare e sbaragliare definitivamente.

Una delle mie pellicole preferite. Già negli anni ’70 si intravedeva qualcosa di torvo, per poi lasciar tutto alla realtà vent’anni dopo (con Tangentopoli). Ci fu una grande riflessione sulla grandezza del potere discrezionale di cui i magistrati disponevano, e di come avrebbero potuto abusare ai sensi di giustizia, per giustificare appunto, l’utilizzo di mezzi conformisti.


Unico particolare spiacevole, il DVD. Da denuncia! Stampato MALISSIMO!
Povere pellicole...






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